Siti Compulsi

SITI COMPULSI
A cura di Valeria Carnevali, Nuova Galleria delle Arti, Fabriano, 2012

Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi…

Andando a curiosare tra i residui di cui sono pieni i cassetti della memoria nella nostra testa e nel nostro cuore, a qualcuno potrebbe presentarsi una reminiscenza dei tempi del liceo: la celebre favola di Fedro, in cui il lupo e l’agnello si incontrano sulle rive dello stesso piccolo corso d’acqua. Il seguito della narrazione lasciamolo pure sui banchi di scuola, ma ora fermiamoci a pensare allo stato d’animo iniziale dei due animali, due creature assetate, siti compulsi, cioè spinti dalla sete. A quali azioni, sagge, sconsiderate o disperate, può spingerci la sete? E poi, sete di cosa? Di acqua? Di avventura? Di conoscenza? Ciascuno ha la sua sete, sete come passione, sete come desiderio, sete come slancio fornito da un impulso primordiale di sopravvivenza, di affermazione, di vitalità. Per Caterina Prato, la sete è bisogno irrefrenabile di espressione. La sua soddisfazione, sempre parziale, la induce a riversare su tavole e tavole tutto ciò che si affaccia nella fervida fucina della sua mente, e lo fa con tanti e tali mezzi di disegno e pittura che anche la definizione tecnica mista sembra povera. Il gioco di parole tra la lingua dei padri e quella dei figli è presto svelato: Siti compulsi non è solo una citazione. Siti compulsi sono luoghi fisici e metaforici, ora quadri e ora mondi, zeppi di segni e di oggetti, riempiti compulsivamente, senza sosta, senza respiro, senza razionalità, in una sorta di « scrittura automatica » che vuole immagini mentali riversate su tavola piuttosto che parole su carta. Siti compulsi sono le stanze dell’esistenza di Caterina, dimensione intima ma universale che si dipana tra il tempo, come età immanenti nei ricordi e nel presente, e lo spazio, come case, edifici, paesaggi, terre amate, vissute, perse e ritrovate. In ogni dipinto lo spirito della terra è sempre presente : gli sfondi vorticosi e animati sono profili di colline, geometrie di campi, topografie reali e immaginarie che si fanno texture, superfici suggestive non concepite per ospitare figure ma per essere esse stesse parte sostanziale delle opere. Caterina viene da sud, ce lo ricordano la sua fisionomia mediterranea e l’accento salentino, e l’arte non la tradisce: traspare in ogni quadro la continuità sanguigna e primigenia con la sua origine, alimentata dalla condizione di persona trasferita altrove, per cui anche un luogo fisico, un posto, un’atmosfera, uno spazio si fanno tempo, ricordo ed immaginazione. La terra è suggerita anche dalla tonalità dominante, un ocra opaco e nebuloso, un colore antico, un colore selvatico difficile da rendere amabile, ma immediato, evocativo, un colore–archetipo, di quelli che non necessitano di interpretazione, come il rosso-sangue, il verde-linfa…questo è un ocra-terra, e basta percepirlo per comprenderlo. Grazie ad esso Caterina ricrea universi, li intrappola nei rettangoli del supporto, e li stipa di tutto ciò che il suo io riconosce : vegetazione, elementi di arredo, banchi di pesciolini, casette distorte, alberi, scale, pale eoliche, strade, lampadari, e su di essi vortici di segni, graffi, linee, spirali, ghirigori calati sopra a lande sconfinate in cui si perde ogni punto di riferimento…forse è per questo che, sopraffatta dal vortice dell’immaginazione, sente talvolta il bisogno di intervenire con un tocco di razionalità. Ed ecco che la natura soffusa della terra è attraversata da un lampo di meccanico, freddo, innaturale blu. O da un tratto di bianco, preciso ed enigmantico: non sono solo segni ora, non sono sensazioni. Sono figure. Sono ritratti. Sono persone e personaggi criptici, ermetici, inquietanti. Sono acrobati calati dall’alto, da un punto al di fuori del perimetro che potremmo immaginare si ponga all’infinito, o sono bambine e donne, serie, sole e pensose. Sono elementi perturbanti, giunti fin lì per instillarci apprensioni, o sono forse presenze benigne, amici accorsi per restituici il senso di orientamento perduto? Ciò che conta è che non viene mai meno una sensazione di pacata armonia: tutto ciò che Caterina fa accadere, accade serenamente. E’ il paradosso di questa artista generosa e patentemente femminile: riuscire a pronunciare miriadi di pensieri senza vomitarli, senza essere pletorica, senza farsi investire dal caos. Come un demiurgo consapevole del proprio atto creativo, sa concedere ordine ed equilibrio ai suoi mondi, risolvendoli con garbo non scontato ed eleganza. La creazione è pur sempre un’esperienza estetica, ed è la bellezza a fornire l’unica categoria di giudizio.